Tu sei qui: Storia e StorieLe conserve di pomodoro in Costa d’Amalfi: una tradizione agostana quanto mai caratteristica
Inserito da (Maria Abate), martedì 7 agosto 2018 15:12:32
Di Maria Abate
Chi ha un orto lo sa: i prodotti di stagione si consumano quando ci sono. Spesso, anzi, ce ne sono anche troppi e per non buttarli si finisce per inserirli quotidianamente nelle ricette, rischiando che a qualche membro della famiglia venga lo "sfastirio".
L'estate, ad esempio, è il periodo dei pomodori, che qualche massaia paziente ancora destina in gran parte alla preparazione delle conserve. Specialmente in passato, preparare ‘e butteglie ‘e pummarole diveniva un momento di condivisione quasi spirituale: tutta la famiglia era chiamata a dare il suo contributo e doveva andare tutto bene affinché le conserve si mantenessero in buone condizioni per tutto l'inverno, in assenza di pomodori. A Tramonti, ad esempio, le famiglie continuano a ripetere questo rito, abituando i bambini - coinvolti nelle operazioni più semplici - all'idea che il cibo fatto in casa sia più salutare di quello acquistato "bell' e fatto" al supermercato.
Comparso in Europa in seguito alla scoperta dell'America, il pomodoro non fu subito adibito a uso alimentare, perché tacciato di poteri eccitanti e afrodisiaci. Soltanto intorno al 1700 in Italia comparvero le prime ricette che prevedevano il suo utilizzo fino ad arrivare, nel ‘900, alla preparazione delle bottiglie di pomodoro, specie nel Mezzogiorno.
Inizialmente i pomodori, meglio se "San Marzano", venivano ricoperti di sale e messi al sole fino a completa essiccazione. Quindi si passavano al setaccio in modo da ottenerne una salsa densa che veniva esposta al sole per altri giorni. Divenuta scura, veniva conservata in vasi di creta o vetro, chiusi poi con uno strato di foglie di basilico o di fico e uno di carta pergamena.
Questa procedura fu presto abbandonata per passare a quella con la ‘macchinetta' che ancora oggi le nonne continuano ad adottare. I pomodori erano gli stessi - San Marzano -, ma non dovevano essere essiccati, bensì cotti in grandi calderoni. Quindi venivano trasferiti, una volta tiepidi, al passa-pomodoro a manovella per frullarli più volte e ottenere la salsa.
Le bottiglie erano quindi riempite con l'aiuto di un imbuto (l'operazione che in genere appassionava di più i bambini, liberi di sporcarsi con quella salsa odorosa) e sigillate ermeticamente con tappi in metallo, fissati al becco di vetro con un apposito marchingegno manuale. A questo punto veniva il momento più delicato: quello della cottura: In grossi bidoni bisognava posizionare sapientemente le bottiglie per evitare che si spaccassero. Per questo motivo, alcuni adagiavano sul fondo e all'apice dei bidoni dei pezzi di sacchi di iuta.
Con la cenere ancora calda, quella che restava del legno acceso per cuocere i pomodori (è più recente l'uso dei fornelli a gas), molti lessavano le patate avvolte una ad una nella carta stagnola. Ci voleva un po' di tempo affinché cuocessero, ma il sapore tra il bruciacchiato e il dolce era la giusta gratificazione dopo il lavoro con i pomodori.
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